La debolezza umana viene da noi riscontrata, si può dire momento per momento: ora il corpo che non regge, ora è la mente che non capisce, ora è la volontà che si sente debole dinanzi alle difficoltà, alle tentazioni, alle seduzioni, alle insidie da qualunque parte esse vengano.
Che brutta constatazione sentirci deboli! Ma la debolezza che si sente, diventa ancora più umiliante quando c’è la fragilità, cioè una debolezza realizzata in quanto si è schiacciati da tante cose che succedono nel mondo; la debolezza nella fragilità umilia l’uomo, umilia l’anima; la fragilità a sua volta può diventare addirittura peccato veniale, mortale ostinazione al male, recidività, che col tempo conduce al vizio, e quindi all’ipocrisia, al sacrilegio, all’infedeltà, al tradimento. «Signore sostieni la mia debolezza!».
Se tu verifichi la debolezza perché non preghi? se verifichi costantemente la fragilità, e la debolezza verificata, perché non gridi al Signore perché ti liberi? Non sai che soltanto Lui può dare forza alla tua debolezza? Perché dimentichi che Dio è onnipotente, e che la sua potenza sostiene qualsiasi debolezza del corpo e dello spirito? Grida, il Signore ti ascolterà. L’unico motivo è perché tu sei figlio in Cristo, e Dio è il Padre che vede in Cristo te; Gesù infatti non soltanto ha assunto te nell’Incarnazione, ha assunto te nella croce, ma ancora in questo momento ti tiene assunto a Sè. L’assunzione tua nella sua umanità continua sempre: ti ha assunto nel peccato, ti ha assunto nell’espiazione, ti ha assunto nella Grazia, ti assumerà nella Gloria.
In Cristo il Padre Celeste non può non vederti, non ascoltare la tua parola, il tuo grido, il tuo gemito, la tua insistenza, perché tu venga liberato dalla fragilità. Il secondo pensiero è l’umiltà; non c’è un’umiltà più grande di quella che si realizza nel servizio al prossimo. Il servizio infatti è la realizzazione dell’umiltà, e poiché l’umiltà è la casa di Dio, l’umiltà è la casa dell’amore; e poiché è la casa di Dio che è amore, è la casa anche di chi è simile a Dio. L’umiltà quindi è la vera casa dell’uomo, non quella fatta di pietre o di legno, ma quella fatta appunto di servizio al prossimo, perché l’umiltà più profonda è quella che ti fa stare al tuo posto.
L’uomo nell’umiltà sta al suo posto giusto quando vuole essere servo di Dio e servo dei fratelli. Servo di Dio, perché Dio è il Suo Signore, servo del prossimo perché il suo Signore ha detto di amare il prossimo. Non si può essere servi del Signore se non si ubbidisce ai sui Comandamenti; non si può essere servi del Signore, e quindi umili di quella umiltà in cui abitare come uomini fragili e mortali, perché soltanto nell’umiltà noi costruiamo la nostra identità di essere a immagine e somiglianza di Dio, di essere amore come Dio.
Il servizio è appunto la casa di Gesù, e la casa dei seguaci di Gesù. Lui è il servo di tutti, il servo di Javhé: “Sono venuto nel mondo non per essere servito, ma per servire”. La sequela di Cristo è nel servizio al Padre Celeste facendo la sua volontà, e il servizio nella sua volontà è amare il prossimo con le opere. Gesù è il più grande di tutti perché non è venuto per essere servito ma per servire; Lui ha preso la condizione di servo, perché servendo a tutti quanti, mediante il sacrificio della Croce che è espiazione dei peccati, ha donato a tutti quelli che credono in Lui, la vita eterna. Egli più di ogni altro ha servito l’universo intero, gli uomini e tutto il Creato.
Chi è più servo di Lui? Chi è più grande di Lui? “chi di voi vuol essere il più grande, si faccia servo di tutti, chi vuole essere il primo, si faccia l’ultimo, diventi schiavo di tutti” Il servo più grande è diventato Signore, per questo il Padre lo ha costituito Signore, perché è stato il più grande servo. Quando Gesù ha detto: «senza di me non potete far nulla» (Gv 15,4) non lo ha detto come Signore, ma l’ha detto come Servo, perché attraverso di Lui tutti i beni per la salvezza vengono dati a noi, e Gesù nella sua profonda umiltà, ha condiviso l’opera della redenzione degli uomini, non perché non fosse capace, ma perché voleva che nel servizio fossero solidali con Lui lo Spirito Santo, la Mamma sua, la Chiesa.
Il servizio più grande è quello che si compie nella sofferenza, cioè si dona al prossimo la propria sofferenza. Dal sacrificio della croce deriva la riconciliazione tra Dio e l’umanità, deriva anche la pace e ogni bene. Ogni cristiano dovrebbe comprendere il mistero del dolore offerto per amore. (Don Pierino)
Sfogliando la Bibbia, meditiamo alcune espressioni che ci fanno comprendere l’aiuto misericordioso che riceviamo da Dio. “Il mio giusto aiuto procede dal Signore, che salva i retti di cuore”. Due sono i compiti della medicina, risanare le infermità, e conservare la salute. Riferendosi al primo compito nel salmo è detto: “abbi pietà di me, Signore, perché sono infermo”; riferendosi all’altro è detto: “se c’è iniquità nelle mie mani, se ho ricambiato chi mi ha fatto del male, soccomba pure, misero, ai miei nemici”, i nemici sono i demoni . Là il peccatore prega per essere liberato dai peccati; qui, ormai sano, prega per non tornare al peccato: infatti, prima dice: “salvami per la tua misericordia”; nel secondo caso, qui dice: “giudicami, Signore, secondo la mia giustizia”.
Là chiede il rimedio per sfuggire alla tentazione, qui chiede protezione per non ricadere nel peccato. Nel primo caso ha detto: “salvami, Signore, secondo la tua misericordia”; qui esclama: “Il mio giusto aiuto procede dal Signore, che salva i retti di cuore”. Infatti la misericordia e l’aiuto salvano ambedue; la misericordia porta alla salvezza dal peccato, l’aiuto è il dono che ci fa perseverare nella Grazia, che abbiamo ricevuto col perdono. Nel primo caso l’aiuto è misericordioso, perché non ha alcun merito il peccatore che desidera essere giustificato; egli crede in Colui che giustifica l’empio; qui invece l’aiuto è giusto, perché viene dato a chi è già giusto. Ebbene, il peccatore che ha detto “sono infermo”, dica ora: “Salvami, Signore, per la tua misericordia!” e il giusto che ha detto: “se ho ricambiato chi mi ha restituito il male”, gridi: “Il mio giusto aiuto procede dal Signore che salva i retti di cuore”.
Se infatti il Signore ci porge il rimedio per risanare la nostra anima quando siamo nel peccato, quanto più ci porgerà l’aiuto della Grazia per conservarci in salute? Che “se Cristo è morto per noi quando ancora eravamo peccatori, quanto più, ora che siamo giustificati, saremo salvi dall’ira per mezzo di lui?” Dio guida il giusto “scrutando il cuore e i reni”; (il cuore è la sede dei pensieri e i reni nel linguaggio biblico indicano i piaceri della carne che non sono buoni) e con il suo giusto aiuto salva i retti di cuore.
Non però allo stesso modo per cui scruta i cuori e i reni, salva anche i retti di cuore e di reni. Infatti i pensieri malvagi si trovano in un cuore perverso, e i pensieri buoni in un cuore retto; i piaceri non buoni, in quanto inferiori e terreni, competono ai reni, mentre i piaceri buoni non riguardano i reni, ma il cuore stesso. Ecco perché non si può parlare di retti di reni come si parla di retti di cuore, poiché dove sono i pensieri, là è presente il godimento; e questo non può accadere se non quando si pensa alle cose divine ed eterne.
Perciò ha detto: “hai infuso letizia nel mio cuore solo dopo aver detto: è impressa in noi la luce del tuo volto, Signore”. Accade perciò che Dio, scrutando cuori e reni, se vede nel cuore retti pensieri, e nessun piacere illecito nei reni, offre il suo giusto aiuto ai retti di cuore, nei quali sublimi delizie si associano a puri pensieri. Per questo in un altro salmo, dopo aver detto: “perfino nella notte mi castigarono i miei reni,” subito parla dell’aiuto, dicendo: “vedevo sempre il Signore al mio cospetto, giacché è alla mia destra perché io non vacilli”.
Mostra cioè di avere subito soltanto tentazioni da parte dei reni, non di aver provato anche dei piaceri, perché di certo avrebbe vacillato se li avesse sentito. E dopo aver detto: “il Signore è alla mia destra perché io non vacilli, aggiunge: per questo si è allietato il mio cuore”, in quanto i reni hanno potuto metterlo alla prova, non dilettarlo, perché ha respinto la tentazione.