Il giudizio è un atto della volontà con cui la ragione definisce buona o cattiva un’azione, vero o falso un discorso, giusto o ingiusto qualcuno. Gli elementi essenziali di un giudizio sono: la retta ragione, la conoscenza esatta della norma e la piena visione del fatto o della persona da giudicare. La retta ragione facilmente può essere inquinata da influssi palesi o reconditi che partono dalla carne, dalla psiche o dalla sfera morale che, non raramente, modifica il criterio di lettura e di interpretazione della norma, la quale è soggetta, così, a subire spinte di applicazioni restrittive o lassiste. La ragione, per rimanere nella rettitudine, cioè per conservarsi retta, deve essere sempre illuminata dalla verità.
Questa è l’unica luce che illumina e rettifica la ragione dell’uomo. Ma dove si trova la verità? Non già nella stessa ragione umana perché questa, proprio per la corruzione del peccato, ha perduto la luce perfetta per riconoscere la verità, ma deve trovarla in un altro. Non sarà certo un altro uomo perché è proprio la stirpe umana che soffre della debolezza a riconoscere la verità. Dunque soltanto in un essere superiore può trovarsi la certezza della verità e, quindi, la luce adeguata per illuminare la ragione dell’uomo per renderla retta. Cristo ha detto: “Io sono la Verità, Io sono la Luce”; chi, quindi, crede in Lui, non rimarrà confuso. Perciò la retta ragione, senza Cristo, non può esserci. Quale è la norma esatta a cui bisogna confrontare le parole, i fatti, le cose e le persone per giudicare bene? La norma è la regola che stabilisce la conformità di qualcosa o qualcuno a quello che deve essere.
Il tipo ideale a cui devono conformarsi le cose, gli esseri viventi e gli uomini, lo stabilisce il Creatore e soltanto Lui. Anche l’uomo deve soggiacere a questo criterio che è superiore alla stessa natura di ogni essere. La norma, la regola, il tipo ideale è nel volere di Dio, anzi è Dio stesso. Non c’è legge fisica o morale senza Dio. La norma, perciò, si può definire la conformità a quello che dice e vuole Dio. Infine, per giudicare, è necessario conoscere pienamente ciò che si giudica. Se, poi, si tratta dell’uomo, per giudicare bene è necessario conoscere le intenzioni e, quindi, le capacità esatte di intendere e di volere dell’uomo.
Chi può entrare nel sacrario dello spirito dell’uomo? Solo Dio. Egli è purissimo spirito ed è Colui che scruta le menti, i cuori e i reni dell’uomo. Solo Dio può valutare i gradi di intelligenza, la possibilità della volontà, la fragilità della natura dell’uomo per giudicarne con esattezza i pensieri, le parole e le opere. In conclusione: se solo Cristo è la fonte della retta ragione, Dio è la norma giusta di confronto e soltanto Dio è capace di penetrare nella natura delle cose dell’uomo, è oltremodo pericoloso e nocivo azzardare, da parte di chiunque, un giudizio sul conto di un’altra persona. Gesù ci ha messo in guardia: “Non giudicate e non sarete giudicati”; “Bada alla trave che hai nel tuo occhio e non alla pagliuzza che ha nell’occhio il tuo fratello”.
Giudicando male, puoi incorrere a volte nella mormorazione, altre volte nella calunnia, giudichi sempre nella mancanza di carità. Ciò che è peggio, il giudizio cattivo, oltre alla riprovazione da parte di Dio, può suggerirti un comportamento sbagliato e condurti per una strada tanto pericolosa dalla quale, poi, sarà difficile poter tornare. Invece il diritto di giudicare lo ha solo chi è con Dio, poiché ogni uomo, ogni donna viene da Dio, anche un uomo di Dio, il quale da Lui ha il dono di scrutare il cuore.
Ogni momento ha una scelta propria che non è uguale ad un momento passato o futuro, e nemmeno i momenti del presente sono uguali l’uno all’altro. Scegliere il bene, scegliere il bene proprio ad ogni momento, quello che è pienamente conforme al volere di Dio ed è il più opportuno all’uomo, alla donna, all’ambiente ed alla famiglia, è senza dubbio frutto non solo di prudenza, ma di tante altre virtù, anzi di tutte le virtù. La prudenza veramente saggia e perfetta suppone il completo distacco dall’Io, dal mondo che si oppone a Dio, e dalle passioni della carne: basta un piccolo legame per deviare dalla prudenza. Un tenue filo razionale, affettivo o sensitivo, è più che sufficiente per comunicare impulsi di confusione, di presunzione e di sbandamento.
Quante opere buone non sono fatte per eccesso di prudenza! Quante azioni sante sono fatte male per poca prudenza! Quante volte la prudenza è confusa con la mancanza di fede, con la pigrizia e molte volte con una sofisticata presunzione che riduce ed esclude la volontà di Dio. L’equilibrio, il dominio di sé e la speranza viva nella fede continua, sono i pilastri di una vera prudenza. La prudenza è attenzione alla volontà di Dio calata nella realtà esistenziale del soggetto che la deve attualizzare e dell’oggetto a cui è indirizzata: è umiltà, è fede, è speranza, è carità, è rinunzia e pazienza, è silenzio e preghiera, è mansuetudine e dolcezza, è coraggio e fermezza irreversibile.
E’ non solo luce che ci permette di vedere la volontà di Dio, ma è anche amore fedele che riveste del modo giusto l’azione buona, capace di renderla conforme al modo stesso di agire di Dio. La prudenza è verità generata dalla carità, è fortezza animata di amore e di dolore, è taglio addolcito dalle lacrime e dalla preghiera, è lode sorretta dalla giustizia, è correzione che sprizza faville infuocate di paterna premura, è dolcezza sana irrobustita dalla fortezza di Dio. La prudenza è veramente una virtù cardinale; il suo esercizio mette in movimento tutte le altre virtù, la sua perfezione è sintesi di completa perfezione di ogni singola virtù.
Man mano che l’anima procede nella conquista delle virtù avverte il bisogno di esercitarla nel modo giusto, cioè con prudenza, per renderla più vera, più efficace e costante. La prudenza è la verifica più attendibile della buona volontà, della virtù autentica e dell’unione fedele con Dio. (Omelia di Mons. Pierino Galeone). Cristo giudicato dagli uomini è il giudice degli uomini. “O Dio, chi sarà simile a te?” il Salmo parla della meraviglia del Profeta che in visione vede Cristo Dio divenuto simile agli uomini. Coloro che lo giudicarono lo disprezzarono e lo trattarono come un malfattore, e questo affinché venisse giudicato dai Romani. Invece, alla fine della storia sulla terra, verrà a giudicare tutti quelli che hanno giudicato Lui lungo il corso dei secoli e tutti quelli che giudicano gli altri. “il tuo trono, o Dio, dura in eterno, scettro di rettitudine è lo scettro del tuo Regno, tu hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, per questo il tuo Dio ti ha unto con l’olio di letizia, al di sopra dei tuoi compagni”.
Gesù ha voluto essere simile a molti che vengono giudicati ingiustamente dal prossimo, ma quando verrà nella gloria “chi sarà simile a te?” È difficile credere alle parole che il Profeta dice di Dio: Chi sarà simile a te?, noi lo crediamo perché rivolgiamo questa domanda a Colui che volle essere simile agli uomini, il quale ha detto che se siamo come dobbiamo essere, ci darà la somiglianza di Dio che Adamo ed Eva ci hanno tolto. Queste parole non vengono rivolte a Gesù Dio, ma a Gesù Figlio dell’Uomo, per cui vivendo secondo l’esempio che ci ha dato, in Lui noi troviamo la nostra somiglianza con Dio.
Quando apparirà nella Gloria, vedremo la differenza che c’è tra noi e Lui. Per questo il Profeta continua: “non tacere, non frenarti o Dio!” Davanti alle accuse che lo volevano crocifisso, non ha aperto bocca. “era come un agnellino davanti al tosatore”; ricusò di avvalersi della sua potestà; a Pilato rispose: “ non sai che Io posso chiedere al Padre mio dodici legioni di Angeli che distruggerebbero te e l’Impero romano?”. Le guardie mandate dai Sacerdoti del Tempio per arrestarlo chiesero: “sei tu Gesù di Nazareth? Sono Io”; “appena disse sono Io, caddero tutti per terra” come se avessero ricevuto uno spintone. E questo per tre volte.
Non ha voluto impiegare la sua potenza divina per rimanere simile a noi e sostenerci nella lotta contro il male. Sant’Agostino dice che nella sua debolezza ha inserito la nostra debolezza, vincendo la sua debolezza ha vinto anche la nostra, per cui siamo capaci di accogliere privazioni e sacrifici per vincere tutte le tentazioni. A San Paolo disse: “ nella tua debolezza, tu vedrai operare la mia forza”. “Non tacere o Dio”, alcuni interpretano cosi: ha taciuto per essere giudicato, ma non tacerà quando giudicherà tutti quelli che lo hanno rifiutato. “i suoi nemici, cioè coloro che lo hanno rifiutato, hanno sollevato la testa”.
Non dice le teste, dice la testa, perché tutti quelli che rifiutano i Comandamenti di Dio e i principi del cristianesimo, operano di comune accordo, sotto la guida misteriosa di un solo capo, satana. La parola di Dio si avvererà in questo capo e in tutti quelli che lui ha schierato contro Dio, contro il Vangelo di Cristo e contro la Chiesa: “chi si esalta sarà umiliato”. Non è forse una esaltazione diabolica quella di dichiarare lecito tutto quello che Dio ha definito peccato grave? Colui al quale qui è detto: “Non tacere e non diventar mite, o Dio”, “ucciderà quel capo con il soffio della sua bocca, cioè con la sua parola di condanna, e lo annullerà con la luce della sua presenza”; l’umiliazione di satana e di tutti quelli che hanno praticato il materialismo e il laicismo fino al termine della loro vita sarà tale che si sentiranno annientati da Dio che li giudica.
L’Evangelista Giovanni dice: “saranno gettati nello stagno di fuoco, l’Arcangelo San Michele con un grosso macigno chiuderà l’entrata dell’inferno” cioè per tutti loro non sarà possibile uscire da dove sono usciti adesso per devastare il cristianesimo.