Maria, donna feriale
Chi sa quante volte l’ho letta senza provare emozioni, L’altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un’immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l’autenticità.
Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Conci1io Vaticano II sull’Apostolato dei Laici c’è scritto testualmente: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro».
Intanto, Maria viveva sulla terra.
Non sulle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete.
Anche se 1’estasi era 1’esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra.
Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe degli illusionisti, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano.
Ma c’è di più: Viveva una vita comune a tutti.
Simile, cioè, alla vita della vicina di casa. Beveva l’acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile.
Anche lei arrivava stanca alla sera, dopo una giornata di lavoro.
Anche a lei un giorno le dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò, allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sta sfiorendo.
Le sorprese, però, non sono finite, perché venire a sapere che la vita di Maria fu piena di sollecitudini familiari e di lavoro come la nostra, ci rende questa creatura così inquilina con le fatiche umane, da farci sospettare che la nostra penosa ferialità non debba essere poi così banale come noi pensiamo.
Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi di salute, di economia, di rapporti, di adattamento. Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di capo, o sovrappensiero perché Giuseppe da più giorni in bottega non aveva molto lavoro.
Chi sa a quante porte ha bussato chiedendo qualche giornata di lavoro per il suo Gesù, nella stagione dei frantoi.
Chi sa quanti meriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazaret.
Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’ era, non sempre avrà capito i silenzi.
Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell’adolescenza di suo figlio.
Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all’altezza del ruolo.
E, dopo aver stemperato nelle lacrime il travaglio di una solitudine immensa, avrà ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana.
Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell’ esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie.
Se per un attimo osiamo toglierti l’aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto.
Se spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare meglio l’onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha nascosto le sorgenti della luce.
Sappiamo bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare. Ma se ti costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai livelli del nostro piccolo cabotaggio. È perché, vedendoti così vicina alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani della libertà.
Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua naturale femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni.
Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell’epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza.
Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore.
E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.