L’amore al prossimo e la carità verso il prossimo non sono la stessa cosa. La differenza è questa: l’amore è volere il bene del prossimo e darlo mediante le opere buone. Tu puoi donare un pane, un sorriso, un’ospitalità ecc.; la carità è volere che il prossimo conosca e ami il Signore, quindi doni la parola di Dio e i mezzi perché il prossimo conosca e ami Gesù. Si dice: donare Dio al prossimo. A volte l’amore e la carità operano insieme. Tu doni Iddio con la parola, con l’esempio, con la testimonianza, con la sofferenza offerta al Signore.
L’amore è un servizio che tu fai al prossimo, la carità invece è il dono del bene più grande che abbiamo. Certo, l’amore può preparare la carità. Chi ha la carità ha anche l’amore, ma non sempre all’amore fa seguito la carità. L’amore coincide quasi sempre con le opere di solidarietà, chiunque può fare del bene al prossimo. Non tutti però hanno la retta intenzione: non fanno il bene perché vogliono amare e ubbidire al comando del Signore. Adesso facciamo un passo in avanti.
Cos’è la retta intenzione?
L’intenzione appartiene alla volontà, l’attenzione invece appartiene alla mente. L’intenzione è il fine per cui tu compi un’azione. L’intenzione è retta, quando il fine è buono. Quando l’intenzione si congiunge con la carità? Quando tu fai conoscere e amare Gesù, quando tu doni Gesù perché ami Iddio. Quando tu ami il prossimo? Quando tu fai agli altri dei servizi per amore di Dio. La retta intenzione quindi può esserci sia nell’amore e sia nella carità verso il prossimo. I sacerdoti, le suore e le anime consacrate si fermano molto facilmente all’amore fraterno, i cristiani invece quasi tutti amano, ma non con l’amore di Dio.
È molto duro entrare nella carità fraterna, perché bisogna parlare di Dio e comunicare l’amore di Dio con la parola, con l’esempio, con la preghiera e con i sacrifici offerti al Signore. Questo vuol dire carità fraterna. La retta intenzione nella carità fraterna è fare tutte queste cose per amore a Dio e per amore al prossimo. Gesù ha detto: “affinché vedano le vostre opere buone e lodino il Padre vostro che è in Cielo”. Nel compiere le opere dell’amore al prossimo è possibile anche avere la retta intenzione, sono quindi meritorie per la vita eterna.
L’amore fraterno potrebbe essere non soltanto meritorio, ma preparatorio alla carità fraterna, però non sempre avviene questo. Perché, se tu resti nell’amore fraterno, facilmente cadrai in due difetti: il primo difetto è quello di bisticciarsi, di non comprendersi; il secondo difetto è che questo amore fraterno potrebbe portare a un amore affettivo disordinato, perché non scatta mai la carità fraterna, cioè quella volontà diretta di comunicare Cristo, Dio ai fratelli, parlando di Dio, testimoniando l’amore a Dio con l’esempio, con la preghiera, e con una testimonianza concreta.
Colui il quale rimane solo nell’amore fraterno, fa insieme con l’altro tante cose, però facilmente cadrà nel primo difetto, che è quello di bisticciarsi e di non comprendersi; inoltre l’amore fraterno, nei giorni in cui sei amareggiato per tante cose che non vanno, e nei giorni in cui hai litigato con chi insieme con te condivide la responsabilità della famiglia, nelle ore in cui ti senti abbandonato da tutti, in queste e tante altre situazioni in cui il terribile quotidiano diventa insopportabile, il bisogno di un affetto diventa indispensabile.
La persona verso la quale compi le opere di bene, può diventare l’oggetto di un affetto disordinato. È venuto a mancare lo sviluppo dell’amore fraterno nella carità fraterna. Fin’ora hai donato soltanto cose di cui l’altro ha bisogno, non c’è stato nessun riferimento alla testimonianza dell’amore di Dio. Quando operi il bene nella carità fraterna, nelle ore di crisi non penserai mai di rivolgerti a un’altra persona per rimpiazzare l’affetto familiare che è entrato in crisi, ma affronterai la nuova situazione con la decisione di vivere sempre di fede.
Anche le opere di bene, quando manca l’intenzione di compierle nella ubbidienza al Comandamento dell’amore a Dio e al prossimo che Gesù ci ha dato, possono diventare l’occasione per stabilire un rapporto affettivo che porta facilmente al peccato. L’amore al prossimo non è cosi ben definito come la carità: potrebbe cominciare con la retta intenzione, però è fatto soltanto di un servizio. La presenza di Gesù non è cosi ben definita come la troviamo nell’amore di carità. La carità infatti compie il servizio secondo la legge e i consigli che Gesù ci ha dato. Nell’amore fraterno invece sei tu che operi con la tua mentalità e con i tuoi sentimenti.
La risposta di colui che viene beneficato può sollecitare un affetto forte e squilibrato. La carità di Cristo è quella vera e profonda. Tu infatti parli di Dio, comunichi la Parola che cambia il cuore. Le opere di bene fatte per filantropia non ti danno la possibilità di donare insieme con le cose di cui gli altri hanno bisogno, anche la testimonianza della fede. L’amore fraterno tende sempre a diminuire e lascia il posto all’affetto disordinato. La persona con la quale vivi insieme, diventa gelosa e indignata, vivere insieme diventa sempre più difficile, si arriva sempre al punto del non ritorno. Quando diventi veramente cosciente di come stanno andando le cose, è troppo tardi per rimediare. Così si distruggono le famiglie, si dividono le comunità religiose.
Questo succede anche in quegli ambienti dove ci sono delle persone ammalate di gelosia. Il bene bisogna farlo bene, si deve usare il criterio giusto, si deve avere buon senso e prudenza. Tutto sommato, la carità di Cristo è molto difficile da vivere, però è molto più facile da donare. Tu, per quella persona che hai a fianco, con la quale mangi, lavori, vivi, preghi? Soffri per rimanere fedele nell’amore che avete consacrato davanti all’altare? Dai la testimonianza con la tua docilità alla volontà di Dio?
Quando sei a casa, sei nella tua famiglia, oppure sei per conto tuo? Fai soltanto quello che interessa a te, quello che interessa la tua attività? Le tue rimostranze le trasformi in mormorazioni, critiche, proteste e ribellione? Sei convinto che gli altri hanno bisogno di comprensione? Pensi veramente che gli altri hanno gli stessi diritti che pensi di avere tu? Se nel tuo cuore non ha preso posto l’amore di Cristo, tu sei sempre a rischio, non riesci a filare sempre dritto. Non solo non sai dialogare per risolvere insieme i problemi, ma non sai neppure ragionare. Colui che compie le opere buone senza l’amore di Dio, è sempre scontento e nel contento affettivo per un’altra persona è sempre disordinato.
A te il Signore rivolge la domanda che un giorno sul lago di Tiberiade rivolse ai suoi discepoli: chi sono Io per te? Leggiamo quello che ha detto Papa Francesco. «la domanda a Pietro — Chi sono io per voi, per te? — si capisce soltanto lungo una strada, dopo una lunga strada. Una strada di grazia e di peccato». È «la strada del discepolo». Infatti «Gesù a Pietro e ai suoi apostoli non ha detto: conoscimi! Ha detto: seguimi!». E proprio «questo seguire Gesù ci fa conoscere Gesù. Seguire Gesù con le nostre virtù» e «anche con i nostri peccati. Ma seguire sempre Gesù!». Per conoscere Gesù, ha ribadito il Santo Padre, «non è necessario uno studio di nozioni ma una vita da discepolo». In questo modo, «andando con Gesù impariamo chi è lui, impariamo quella scienza di Gesù. Conosciamo Gesù come discepoli».
Lo conosciamo nell’«incontro quotidiano col Signore, tutti i giorni. Con le nostre vittorie e le nostre debolezze». È proprio attraverso «questi incontri» che «ci avviciniamo a lui e lo conosciamo più profondamente». Perché «in questi incontri di tutti i giorni abbiamo quello che san Paolo chiama il senso di Cristo, l’ermeneutica per giudicare tutte le cose». Si tratta però di «un cammino che noi non possiamo fare da soli» ha precisato il Papa. E ha ricordato che nella narrazione che Matteo (16, 13-28) fa di quell’episodio «Gesù dice a Pietro: la confessione che io sono il Figlio di Dio, il Messia, tu non l’hai imparata dalla scienza umana, te l’ha rivelato il Padre». E, ancora, «Gesù dirà ai suoi discepoli: lo Spirito Santo, che vi invierò, vi insegnerà tutto e vi farà capire quello che io vi ho insegnato». Dunque si conosce Gesù «come discepoli sulla strada della vita, dietro di lui».
Ma questo «non basta» ha avvertito il Papa, perché «conoscere Gesù è un dono del Padre: è lui che ci fa conoscere Gesù». In realtà, ha puntualizzato, questo «è un lavoro dello Spirito Santo, che è un grande lavoratore: non è un sindacalista, è un grande lavoratore. E lavora in noi sempre; e fa questo grande lavoro di spiegare il mistero di Gesù e di darci questo senso di Cristo». Il Pontefice ha concluso la sua meditazione riproponendo la domanda di Gesù: chi sono io per te? «E come discepoli — ha suggerito — chiediamo al Padre che ci dia la conoscenza di Cristo» e «lo Spirito Santo ci spieghi questo mistero» (Santa Marta, Omelia)